venerdì 26 marzo 2010

Raiperunanotte: i teleribelli

Santoro in onda da Bologna buca la censura di Berlusconi. Appello a Napolitano: abbiamo il diritto e il dovere di farci sentire

articolo di Silvia Truzzi da Il fatto quotidiano


http://antefatto.ilcannocchiale.it

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Il bavaglio è diventato un megafono. ….. Chi la fa l’aspetti: la rivincita viaggia on line: 120mila accessi Internet contemporanei. E va in scena in un Palazzetto dello sport. Qui, di solito, gli spalti si riempiono per le partite di basket, ….. Il Paladozza stasera accoglie tutti gli squalificati di un gioco senza più regole né arbitri: ecco Raiperunanotte, (e)versione di Annozero dopo il cartellino rosso dell’Authority.

Michele Santoro l’aveva spiegato: “Stiamo dentro un filo spinato, ma proviamo a tagliarlo”. Dal buco della impar-condicio unilaterale, violata a piacimento dal premier (e se se n’è accorta perfino l’Agcom) sono passate migliaia di cittadini, davanti a computer, televisioni, maxischermi. …..

Resistere si può e chi intendeva spegnere voci “stonate” ha ottenuto il risultato opposto. Quelli che “rompono sempre i coglioni”, continuano a farlo: la rispettosa dichiarazione viene rilasciata a Luca Bertazzoni, inviato di Santoro, da un militante del Pdl durante la manifestazione di piazza San Giovanni. Le altre affettuose parole sono poco riferibili: le più tenere si augurano la morte di Di Pietro, Travaglio, Santoro. Come si dice: quanti crimini sono stati commessi in nome dell’amore?

Ammorbati

Dal mal d’amore al cancro, è la campagna elettorale delle malattie. Il segretario nazionale della Federazione nazionale della stampa Siddi spiega al pubblico che il “vero cancro è la manipolazione”. Ed è solo l’antipasto. Michele Santoro, nell’editoriale di apertura della puntata, si rivolge a Napolitano per suggerirgli che tra i tanti acciacchi della nostra malridotta democrazia, il peggiore è il conflitto d’interessi.

Poco prima erano andati in onda due spezzoni registrati: un Mussolini affacciato al balcone e un terribilmente simile Silvio Berlusconi in piazza San Giovanni.

“Presidente”, inizia Santoro, “noi non siamo dentro il fascismo. Ma certe assonanze sono davvero preoccupanti”. E racconta che proprio oggi ricorre l’anniversario della chiusura della Radio Libera di Partinico – l’emittente di Danilo Dolci – silenziata il 25 marzo del 1970. “Vorrei ricordarle, con grande umiltà, che il presidente Nixon per una telefonata dovette dimettersi”. Poi Santoro lancia sos a Napolitano, citando ancora il sociologo siciliano: “E’ un delitto di enorme gravità quando si registra un’interferenza diretta della politica sulla libertà d’informazione”. E aggiunge: “Questa è una violenza fatta alla Costituzione”. Però attenzione, perché come spiega Gad Lerner: “La censura crea sempre il suo antidoto”.

Il telefono no – “Chiudere i pollai pagati con i soldi pubblici”. Era l’ordine di Berlusconi all’Agcom. Invece le galline sono scappate e dimostrano che libere nell’aia fanno più rumore che chiuse nel recinto. Così le intercettazioni, eterno cruccio di un premier che non riesce nemmeno se legato a star lontano dalla cornetta, vanno in onda: Mills, Cosentino, Trani, un po’ per tutti i gusti. Santoro con Ruotolo le ripropone per dimostrare che tutti i paletti messi ad Annozero non erano un caso. E stasera vanno in onda le conversazioni che hanno “aperto il fuoco” sul programma di RaiDue e a cascata su tutti gli altri. “Non si parla di processi in tv. I processi si fanno in tribunale” (quando si riesce). E infatti, guarda la coincidenza, le docu-fiction vengono ritirate dal commercio. Pochi minuti prima dell’inizio, il presidente della Fnsi Roberto Natale parla al pubblico del Paladozza ormai strapieno. E racconta che ai signori di “questa vergognosa Rai” il vizio di telefonare non passa: in queste ore continuano a chiamare per sapere che cosa andrà in onda. Senza parole, senza pudore: come se dovesse interessare alla Rai un programma che si può vedere praticamente dappertutto fuorché sulla Rai. Anche se in Fede, le intercettazioni mica sono il Vangelo. Berlusconi non vuol far chiudere nessuno: lo spiega dallo schermo il direttore del Tg4 intervistato da Stefano Maria Bianchi. Ed è così in buona che quasi quasi gli dispiace di non essere presente.

Testimonial – In effetti chi c’è c’è, chi non c’è si nota. Lo dice Elio in una pausa delle prove, che si aggira aggrottando le sopracciglione. “Molti miei colleghi avrebbero potuto venire, invece hanno scelto di non correre nessun rischio”. Lui, con Storie tese, ha deciso cantare “Italia amore mio” del trio degli orrori, liberamente interpretata. Ma anche senza cambiare il testo va bene lo stesso: “Io non avevo fatto niente e non potevo ritornare”. Da Emanuele Filiberto a Santoro, il paradosso degli esili. E poi ci sono Giovanni Floris (che sulle intercettazioni e sulle rivoluzioni però prende le distanze), Norma Rangeri, Vauro, Roberto Pozzan, Giulia Innocenzi, Marco Travaglio applauditissimo.

Daniele Luttazzi – accolto con un calore straordinario – fa un monologo “approvato dalla Cei” per spiegare come ce l’hanno messo in quel posto: “A fare un uso criminoso della Rai sono Berlusconi e Masi. Sono otto anni che aspettavo di dirlo”. E ancora i volti di RaiTre Milena Gabanelli e Riccardo Iacona. La sigla è live: per l’occasione suonata al piano dall’autore, il maestrp Nicola Piovani. Sandro Ruotolo ha registrato uno sketch con Roberto Benigni. Si esibiscono Teresa de Sio, Antonio Cornacchione e il trio Medusa in una strepitosa satira del Tg1 (forse ha riso perfino Minzolini). I grandi vecchi: Mario Monicelli pronuncia la parola rivoluzione, Gillo Dorfles parla di democrazia viziata. E li ascoltano moltissimi giornalisti venuti perché tutto questo è voluto anche da Fnsi e Usigrai. C’è Morgan, simbolo (vabbè) della censura tossica che suona con Antonello Venditti, prima di ingarbugliarsi in un discorso fischiato dal pubblico. Non c’è Enzo Biagi. Però c’è Loris Mazzetti, par condicio a due velocità. Nella Rai di Masi e Minzolini lui è stato sospeso per dieci giorni a causa degli articoli apparsi sul Fatto. Siede dietro un filo spinato (ma ha un sacco di buchi).

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